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(articolo pubblicato su Zoomsud.it a questo link)

Da tre settimane circa, su giornali cartacei e online tiene banco l’irrisolto argomento di fine estate: se sia meglio andare o se sia meglio restare. Fior fiore di scrittori e giornalisti si sono espressi in merito (Varano, Criaco, Franco, Barresi), e il dibattito non appare esaurito, anzi viene alimentato da ogni nuovo scritto. Non male!

Le riflessioni fanno bene, aiutano il pensiero e la dialettica. C’è un tema dominante, sul quale si sviluppano i diversi commenti:La grande fuga.

Come sempre, tante sono le argomentazioni portate per difendere il restare, altrettante sono quelle portate verso l’andare. Restare, per sentirsi liberi di cibarsi di genuinità senza dover dire “bio”, per stare al sole per la maggior parte dell’anno, per godere della vista e delle carezze del mare, per respirare l’aria buona di montagna appena se ne ha voglia, per non respirare smog, per non fare le file agli sportelli, per avere tempi slow piuttosto che fast; stando, però, senza Lavoro, quello con la elle maiuscola, che “nobilita l’uomo”. Andare, per ricercare il “bio”, per cercare gli angoli di sole, per abituarsi alle montagne (innevate magari), respirare fino a farsi mancare il respiro. E avere il Lavoro.

La grande fuga, dunque? A gambe levate!

Perché non si può campare solo d’aria, l’organismo chiede anche altro.
Perché uno ci prova a tornare, io l’ho fatto. Ma vedersi sfruttati, maltrattati, in balia di angherie al limite dell’imbroglio, dipendenti dal pressappochismo degli impiegati preposti, non è cosa buona e giusta, non gratifica, non fa crescere né se stessi né la società. E allora, meglio andare.

Può accadere, poi che arrivi anche la giornalista del Tg1 sprezzante della verità, e le uniche risposte che sappiamo darle sono avvilenti, di nuovo. I call center, le TV… Ma pagano le tv? E quanto pagano? E i giornali, i giornali pagano? E tutti questi quanto vi danno? A me (e so a tanti altri) niente. Niente mai mi hanno dato, in termini economici, e niente mi danno. Molto mi hanno dato in termini di fama, e molto mi danno. Ma la fama non sfama. E non venitemi a dire che non è importante esser pagati. Chi lo afferma dovrebbe darsi al volontariato totalizzante, ce n’è un gran bisogno!

E dunque, sono ripartita. Di nuovo al Nord perché un sistema indecifrabile vuole che la scuola italiana si doti di insegnanti con un perverso sistema di reclutamento, ma questo è un altro discorso. Restare? Lo farei se ce ne fossero le condizioni. Ma non ci sono. E quando non sei più single, quando hai il carico familiare, non puoi permetterti di giocare al volontariato, devi la-vo-ra-re, ed il lavoro ha regole che vanno rispettate da entrambi i contraenti.

Non sono la sola, e non sono sola, anzi… Non ci credete? Vi presento, brevemente, alcuni miei colleghi.

Maria, dal reggino tirrenico, sposata, 3 figli con età variabili tra 20 e 4 anni. Lei qui, marito e figli giù.

Teresa, dal reggino jonico, sposata, un figlio di 16 anni. Lei qui, marito e figlio giù.

Carmela, dal reggino jonico, sposata, un figlio. Per sette anni qui da sola, da due anni ha trasferito su anche tutta la famiglia.

Giuseppe, dal reggino jonico, single.

Rosa, dalla provincia cosentina, ha situazione simile a quella di Carmela, ma con due figli.

Raffaella, dal reggino jonico, sposata due figli tra 20 e 18 anni. Lei qui, il marito e i figli giù.

Si sta riparlando di emigrazione, pochi si sono accorti che è in atto una grossa emigrazione al femminile. Ne parlo da anni ormai, e non mi stanco di ripeterlo: non solo insegnanti, ma anche impiegate della sanità, della giustizia, della ricerca, della cultura. Qualche sociologo dovrebbe, finalmente, mettersi a studiare il fenomeno. O forse è così palese che non ne vale la pena?

Aprite gli occhi, le vostre donne stanno partendo da Sud. Pomodori, gelsomini, giornate agricole, disoccupazione, maternità, casalinghitudine non soddisfano più! Non siete (siamo) stati in grado di costruire un sistema libero da clientelismi e da assistenzialismi, un sistema in grado di lanciare i vostri (nostri) figli verso il Mondo (in questo apprezzo l’intervento di ieri di Katia Stancato) piuttosto che tenerli chiusi nel perimetro angusto dell’ “isola Calabria”, per dirla con Matvejevic (e ringrazio Maria Franco per avercelo ricordato).

Allora, scusatemi, ma se devo e posso ancora scegliere, scelgo di andare. E se fuga dev’essere chiamata, che fuga sia!

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