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Due film visti al cinema in questo weekend in cui le storie si sviluppano conferendo al digitale un ruolo di protagonista: Parasite e La belle époque.

In Parasite, diretto da Bong Joon-ho, vincitore della Palma d’oro a Cannes, le sorti dei protagonisti sono diversamente legate all’uso dello smartphone e di internet. Una famiglia composta da madre, padre, figli maschio e femmina in giovane età, vivono in un appartamento sotterraneo di un quartiere povero della Corea del Sud e vanno alla disperata ricerca del segnale per potersi connettere a Whatsapp al fine di ricevere offerte di lavoro e poter restare “connessi” al mondo fuori dalla loro casa-topaia. Con diversi espedienti, riescono a rubare il lavoro ad altre persone in un crescendo di situazioni che sfociano in un inaspettato conflitto non solo di classe ma anche, e soprattutto, all’interno della stessa classe povera, fino al punto che il destino della famiglia viene legato all’invio, o meno, di un video che prova l’inganno: si può salvare solo chi è più veloce. In definitiva, l’uso dello smartphone è fondamentale per provare a sopravvivere alla povertà, senza riuscire ad esercitarne un uso consapevole, cercando rifugio nel vecchio codice Morse. E la tragedia è dietro l’angolo.
Ne La belle époque , diretto da Nicolas Bedos, il digitale è un tappeto su cui si snoda tutta la vicenda. La resistenza al cambiamento, del protagonista Victor, fumettista che non riesce più a vivere i tempi moderni, fatti di smartphone, tavolette grafiche, visori AR, assistenti vocali, lo portano alla crisi matrimoniale e a voler vivere di nostalgia fino a ricondurlo fisicamente negli anni ’70. Il ritrovato vigore, però, lo immette in un nuovo percorso in cui da vecchio matusalemme riesce a diventare quasi guru per la destrezza con cui giunge a dominare le nuove tecnologie nel suo lavoro. E, in definitiva, a dominare la propria vita. E’ l’apertura alle novità della tecnologia, bellezza!
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