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Da una settimana, e ogni giorno sempre più, ci sono alcune domande che mi martellano nella testa.
Dalla mattina del 24 febbraio, guardo, ascolto, mi guardo, mi ascolto.
Poi mi dico, anzi mi ripeto: Ma la pandemia non avrebbe dovuto farci diventare migliori, non eravamo tutti ansiosi di entrare nella nuova normalità, nella migliore normalità? Non eravamo tutti “positivi” nel ripeterci il mantra Andrà tutto bene?

Invece abbiamo assistito ad una escalation di aggressività, violenze verbali, violenze fisiche, malesseri, depressioni, decadimenti, egoismi. A tal punto che abbiamo tante volte, durante la pandemia, affermato “Siamo in guerra”, che la guerra è arrivata. Una guerra vera, quella fatta con le armi, quella combattuta sul campo, che porta morte, abbandoni, migrazioni, perdite e distruzione. Non ci bastavano i morti per la pandemia? Non ci bastava aver provato l’annientamento sociale? Non ci bastava aver visto la morte da vicino e averla, in molti, scansata grazie agli studi della scienza?
Diciamocelo pure: Non è andato bene un caisp!

E mi guardo e mi ascolto, e mi ripeto: Chi mi dice come faccio, da insegnante, da educatrice, a dire ai miei alunni, ai miei figli, a mio nipote, a quelli più piccoli di me, che bisogna imparare a gestire il conflitto tra compagni, ad usare parole e gesti gentili, ad essere solidali, accoglienti, resilienti, costruttivi, mentre fuori dalla finestra i grandi stanno seminando morte, terrore, orrore, distruzione facendo la guerra?

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