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broccolipolentaDa una settimana le mie giornate non trascorrono più come prima, Qualcosa è cambiato. Volete sapere cosa? La musica nel mio iPhone. Da una settimana ha scalato la hit un nuovo album. E’ arrivato e ha mandato giù gli altri: giù Bollani-Grandi, giù Baustelle, giù pure Guccini, giù perfino Cannonbal Adderley. E su, fino in cima il mio straordinario conterraneo, Peppe Voltarelli con il suo ultimo lavoro “Lamentarsi come ipotesi”. Sabato scorso sono andata a vederlo in concerto al Folk Club di Torino (tra parentesi locale ideato e realizzato da un altro conterraneo, il compianto Franco Lucà); un concerto acustico con sola chitarra o con solo pianoforte, o con solo “uovo”, per presentare i nuovi dodici brani, sotto il nome di “Monumento Tour”. Non sto a dirvi quanto Peppe Voltarelli sia artista eclettico: musicista voltarelliano, cantante con  timbro voltarelliano, attore cabarettista voltarelliano, crooner voltarelliano. Insomma, un artista calabrese di  “di ottime doti performative” e di fama mondiale, più mondiale che calabra, più mondiale che italiana. Di nicchia, si dice. Lui dalla nicchia vorrebbe uscire e scalare le hit, e con me ce l’ha fatta, e non da ora. Vabbè, ve l’ho detto.

Insomma, da una settimana vado in giro con Peppe Voltarelli nelle orecchie. Il mio passo segue il ritmo degli arrangiamenti, superlativi! Allora succede che le mie gambe avanzino a ritmo di charleston mentre canta Sciakatàn, “Troppa neve tra le arance al sole della Sibaritide , o rallentino al ritmo di bachata per Io tu loro noi, oppure prendano di nuovo ritmo veloce con Qui non succede mai niente “e niente mai succederà”, e con Il monumento, oppure accenno un tango sulle note de La zattera. (Si può fare anche Zumba fitness con questa musica, davvero! Provateci.)  Poi rilasso la camminata quando arrivano Pipa, La mar En noche, Lassami, Tu volissi ridere. Mi si apre un sorriso con fossette laterali quando mi metto a cantare la canzone che dà il titolo all’album Lamentarsi come ipotesi, e penso che potrebbe essere innalzata ad inno: “Il lamento, il lamento, il lamento per noi è un godimento”. E che non vi sfugga il th calabrese della voce soprano. Ieri passavo davanti al Poli (se dico tutta la parola completa non sono trendy, scusatemi ma siate comprensivi), giornata di lauree, pullulavano i marciapiedi di giovani festanti, coronati d’alloro, in preda a selfie con parenti ed amici, fiori, cravatte rosse, tacchi moderati e sobri, gioie e soddisfazioni. Ed io, occhi che scrutavano e riflettevano la loro felicità,  amplificavo il tutto col mio diletto interiore nel camminare spinta da Il martello in cui un oboe strepitoso accompagna il testo e si esprime anche in fase strumentale molto trascinante “Tu dove sarai in questa notte disonesta, fra le dame preparate e le luci della festa” e camminavo.

E oggi. Oggi sono andata al mercato, cercavo Dino, volevo vedere se aveva ancora degli scampoli di cavolo nero. Cuffie nelle orecchie, arrivo da Dino mentre Peppe stava cantando “L’autunno in cui non esco mai crollano tutti i sogni miei, mi tengo un po’ in attività, coltivo piccolezze e vanità”, La zattera, quella a ritmo di tango. “Hola Dino, que tal?” lo saluto. Mi guarda stupito: “Mara, stai bene?”  In realtà un po’ di mal di gola ce l’ho ma non c’entra con l’accento spagnoleggiante che mi aveva appena ispirato la musica. “Tutto bene, Dino, grazie. Senti, come stiamo messi a cavolo nero?”. Allarga le braccia, incupisce un po’ il viso e mi confida che la stagione cavolescanèra volge al termine e adesso non c’è più molto da raccogliere, che dovrò aspettare il prossimo raccolto, l’anno prossimo. Si accorge che ne rimango delusa e, come i passi di salida basica, come se sapesse che stavo ascoltando un tango, per farmi tornare il sorriso mi propone un’alternativa. “Però, Mara, guarda, ho del broccolo tenero: son freschissimi, raccolti stamattina”, dice mostrandomeli. In effetti non sono male, penso. “Beh, Dino, direi che potrebbe essere una discreta consolazione. Potrei farli con la polenta, oppure li potrei “soffocare” alla maniera calabra. Va bene, li prendo!” Si illumina, Dino, è contento di aver soddisfatto, in qualche modo, le mie richieste. Pesa, mette nel sacchetto di tela, pago, e mi augura buona cucina! Riaccendo la musica, torno a casa, faccio la doccia al broccolo, lo scaldo. Una parte la prendo e la butto in padella con aglio olio, sale e peperoncino: soffocherà di lì a poco.  La parte più consistente la lascio nella pentola con l’acqua ed il sale a completare la cottura. Quando intuisco che è il momento, prendo la frusta (non quella dei cavalli, quella dei dolci) comincio a mescolare mentre verso a pioggia la polenta istantanea (non penserete mica che mi fossi messa a girare nel paiolo di rame la polenta bramata da 40 minuti di cottura!). E frusto, frusto, fino a consistenza e cottura ottimale. Questione di pochi minuti, cinque forse, olio extravergine d’oliva q.b. e spengo il fuoco. Il giallo è diventato verde, prelevo dalla pentola col mestolo e…caschè, nel piatto! Io, a questo Dino, gli farei un monumento, come canta Peppe: “lui cattura l’attenzione, è il sovrano della piazza, del paese è l’unica ricchezza, è la certezza”. (pubblicato su Zoomsud a questo link)

 

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