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foto (29)Dev’essere cambiata la stagione senza mandarci avvisi, a nostra insaputa. Di sicuro! Altrimenti, come lo spieghereste voi che da un giorno all’altro sui banconi del mercato sono apparsi costumi da bagno, ciabattine, copricostumi, kaftani, parei, microtop? E vestitini per il mare, quelli che mia mamma chiama ancora prendisole, come se per prendere il sole ci si debba vestire invece che spogliarsi. Cioè, un prendisole ti lascia scoperte solo la parte alta del dorso, davanti e dietro fino a sopra il seno e fino a sotto le scapole e poi le braccia, con le bretelline che resteranno indelebili tracce in una possibile abbronzatura; e poi va giù, almeno fino al ginocchio, lasciando scoperte le rimanenti gambe e piedi. Il prendisole è bugiardo,  ti dice che ti fa prendere il sole ma in realtà di fa lucertola-al-sole-che-si-scalda, ma non ti fa bellezza-al-bagno-che-si-colora, ti fa contadina-nei-campi-colpita-dai-raggi-del-sole-dalla-prima-mattina. Quindi, semmai dovessi indossare un prendisole, non lo chiamerò prendisole ma vestitino, col diminutivo d’obbligo, vista la poca stoffa impiegata per confezionarlo.

E sapreste spiegare anche come siano apparsi dal nulla meloni, angurie, pesche, pesche noci, pesche tabacchiere, albicocche, ciliegie, fragoloni? Non oso immaginare cosa accada nelle piantagioni. Secondo me dentro le serre ci stanno dei folletti che di nascosto, in una sola notte, mentre tutti dormono, armati di pistole con forbici e colle speciali, recidono le fioriture e ci attaccano i frutti belli e pronti, tanto che gli agricoltori, al mattino, quando vedono quell’abbondanza ringraziano il dio delle coltivazioni con gli occhi e le mani rivolti al cielo, raccolgono, pongono nelle cassettine di legno che sui lati hanno stampato l’orgoglioso nome dell’azienda ortofrutticola e partono per i mercati generali.

Credo che Dino si alzi prestissimo al mattino, o per raccogliere primizie dai suoi orti, o per andare ai mercati generali a prendere quello che non ha. Ecco perché poi, quando lo si vede dietro al suo banco è contento, perché riesce a proporre ai clienti tutte le verdure e tutti i frutti. Ovviamente, mette in bella vista i suoi prodotti e poi cerca di rendere allettanti anche quelli che rivende. Come gli asparagi di Santena (con l’accento sulla prima a,  non sulla e come dicono alla radio) che mi ha venduto ieri che ho trasformato alla Bismarck e altri li ho aggiunti a gamberetti e panna per condirci i fusilli. E che vi devo dire..erano assai “bontatusi”. Ma i protagonisti stavolta non sono gli asparagi, no. Però sembravano loro, fino a quando Dino s’è messo a cantare in “napoletano stanco”, quel napoletano di chi napoletano non è, e faceva più o meno così: “Mellune appise, ‘zerte ‘e pummarole, na pianta e rose tenera e gentile… Cerasella Cerasè, dint’o tiempo d’e limmone tu me rialaste nu schiaffone, Cerasella Cerasè, mo ch’è o tiempo d’e ccerase, tu me vase…”

“Oh Dino, che ti prende? Che pubblicità  è questa? Una del tipo: Antonio, fa caldo?”

“Ma no, Mara! Questa  è una vecchia canzone napoletana, presa dall’omonimo film del ’59 diretto dal Raffaello Matarazzo, in cui recitava Claudia Mori appena quindicenne. La canzone la cantava Gloria Christian, bolognese che cantava in napoletano. Ti ricordi “Una casetta in Canadà”? Ecco, la cantava lei. L’avrai vista qualche volta in uno dei programmi di Paolo Limiti, negli anni scorsi”.

“Sarà, ma adesso non me la ricordo. Dai, però ho capito cosa mi stai dicendo. Mi stai dicendo che queste ciliegie sono le tue, che le hai raccolte dai tuoi alberi, che sono belle sane, dolci e saporite e che, assolutamente, le devo prendere, vero? E va bene, dammene un chilo, dai.”

Mi sorride, con la punta delle dita di una mano prende ciuffi di piccioli che reggono quei rubini e mette nel sacchetto di carta che tiene con l’altra mano. Poi seleziona due gruppetti da tre ciliegie attaccate tra loro, uno chiaro e uno scuro, mi si avvicina, mi chiede di spostare i capelli dietro le orecchie e mi aggancia alla cartilagine superiore del padiglione auricolare il ciuffo di ciliegie.

“Ecco, Mara, guarda come stai bene con questi orecchini!” E sorride, e mi fa tornare in mente quando questo gioco lo facevamo da bambine e ci sentivamo come la dea dell’estate che porta calore e gioia dappertutto.

“Oh Dino, grazie! Sai che quasi non me lo ricordavo più questo gioco? “

E’ troppo simpatico Dino, fa così con tutti i clienti, per ognuno ha una trovata. Certo, con le donne ci mette un po’ più di entusiasmo, sempre uomo è, ma ha sempre un fondamento di rispetto, non è mai invadente, né volgare. E sono punti a suo favore.

Sono pronta ad andar via per proseguire il mio giro al mercato, prendo gli asparagi, le uova e le ciliegie, li metto nel fido sacchetto di tela e mentre saluto per andar via gli faccio: “Senti, Dino, però, potresti cambiare canzone? Te ne suggerisco un’altra, sempre napoletana, la cantava Roberto Murolo, ma pure Massimo Ranieri ne ha fatto una bella versione. Tu devi vendere, no? Fai finta di vendere verdure come ‘E spingule francese” e vai cantando: E tene a faccia com’e fronn’ e rosa, e tene ‘a bocca com’a ‘na cerasa, ah, chi vo’ belle spingule francese, ah, chi vo’ belle spingule a h, chi vo’?... Stai pur certo che venderai spingule e cerase!”

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