Pubblico qui di seguito il testo con il quale ho vinto (primo posto ex equo con le bravissime Tiziana Calabrò e Antonella Attinà) il contest di scrittura creativa “Manuale esistenziale per un pensatore di sopravvivenza” che è stato bandito dal Circolo Meli e da Città del Sole Edizioni nel mese di giugno. La premiazione si è tenuta a Melito Porto Salvo, presso la sede del Circolo, nel Giardino dei Limoni, la sera del 10 agosto 2022 (clicca qui per vedere le immagini della splendida serata). A questo link puoi leggere tutto il Manuale.
Cinque Gnocchi per Feuerbach
C’è un antico dilemma che pervade le nostre vite e ritorna puntualmente ogni giorno, intorno a mezzogiorno o nell’ora del tramonto, ad arrovellare i nostri pensieri.
“Si vive per mangiare o si mangia per vivere?” Segue pausa di riflessione: la risposta non si può trovare a pancia vuota.
Non so dire da quale mente antiqua filosofica sia venuto al mondo il tal pensiero. Potrei, però, mettermi a indagare nelle reminescenze scolastiche degli studi classici ma… tornerei sempre al graditissimo Feuerbach del “Siamo ciò che mangiamo”.
Allora, puntualmente ogni giorno intorno a mezzogiorno o all’ora del tramonto, cerchiamo di rispondere a queste domande esistenziali.
La ricerca comincia nello spazio, rappresentato dal frigo e dalla dispensa di casa: non senza rischi. Il rischio più grave è che si finisca dallo spazio al tempo, che inesorabile ti scorre addosso mentre decidi se scongelare delle melanzane imbottite al sugo (che non lo posso dire in vernacolo calabrese jonico reggino epizefiriano, ma ci siamo capiti) per provare quella straordinaria sensazione di estate infinita, oppure se far fare due salti sulla griglia ad un petto di pollo che fa tanto atleta sempre in forma e con colesterolo sotto controllo.
Ma ecco la domanda in agguato.
E le risposte immediate: melanzane = vivere per mangiare, petto di pollo = mangiare per vivere. Il caro Feuerbach è già seduto a tavola che aspetta di vedere se ti trasformerai in una amena rotondità violacea tutta salute o impallidirai assottigliandoti fino ad appiattirti mentre ti danno i sali e gli origani per farti rinvenire.
La storia cambia se allo spazio casa preferiamo lo spazio ristorante. Prima di tutto non ci troviamo più in uno spazio ma in una lochèscion. Poi, non avremo il rischio di scivolare nel tempo della decisione perché lì è tutto pronto: l’unico sforzo richiesto è cognitivo, per capire a quale cibo corrisponda la descrizione del menu. Del tipo che il Carrè d’ovino baby massaggiato nella birra non filtrata servito su lingue di rughetta della brina con noci d’alta quota e miele bio di zafferano delle Terre di Avogiù ti fa fare un’inchiesta mentale in stile simposio Montalbano-Holmes fino a quando scopri che trattasi di Costolette d’agnello marinate nella birra, arrostite con contorno di rucola raccolta all’alba, noci e miele di nonno Giuseppe (buonanima!): praticamente carne con insalata. Se la si guarda dalla parte della descrizione, si giunge al mangiare per vivere; se la si guarda dalla parte della realtà si giunge al vivere per mangiare. E ti prego, Feuerbach non dirci che poi ci si metterà ad esclamare: be-e-e-e-llissimo, be-e-e-e-llissimo!
Ma il top, la vetta, l’apice, la sommità, il punto più alto che si possa solo immaginare di raggiungere, a cui in molti ancora aspirano, è quando ci si reca in quei ristoranti scicchissimi, rinomati, famosi, pluri-recensiti e dove, dopo aver scelto dal menu qualcosa di sostanzioso perché hai fame (e se vai è perché vuoi mangiare) e la tua gola ti ha indirizzato verso le Chicche di grano biondo non tinto lavorate a mano come una volta con fluido tomatoso dei campi d’un tempo e pioggia di neve dell’alta malga tra le stelle alpine e ti arrivano in una scodella, non in un piatto, cinque, dico cinque, gnocchi con sugo e parmigiano che ci vuole il binocolo dell’Opera per vederli.
E allora ritorni a chiederti: Vivo per mangiare o mangio per vivere? E come faccio a vivere se non mangio? Come faccio a mangiare se non vivo? Cinque gnocchi diamoli anche a Feuerbach che si chiederà: saranno uno per ogni senso?
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