
L’ho fatto di nuovo. Ho scritto ad Annarosa Macrì, alla sua rubrica sul Quotidiano del Sud.
Le ho proposto un commento a quanto mi era accaduto qualche giorno prima in un bar di Torino e che avevo raccontato sui social.
È andata così.
ERAVAMO QUATTRO SCONOSCIUTI AL BAR… PICCOLE STORIE DI RAZZISMO QUOTIDIANO.(dall’Altravoce-Il Quotidiano)
Carissima, voglio proprio raccontarla, questa piccola storia che mi è capitata qualche giorno fa, qui a Torino, dove tanti anni fa mi sono trasferita, per lavoro, dalla Calabria.
Stavo andando a fare formazione in una scuola, ed essendo arrivata sul posto con largo anticipo, mi sono seduta dentro un baretto anni ‘70 a bere un caffè. Ne ho approfittato per rifinire un lavoro al computer.
Al tavolino accanto al mio c’erano tre signori anziani, pensionati sicuramente, che discutevano di calcio e sport vari e commentavano le notizie della giornata.
Dopo un po’, arriva un altro signore, sempre anziano, sempre pensionato, prende la copia de La Stampa che era su un mobiletto dietro di me, noto che sbircia nel mio computer e va a sedersi al tavolo a destra: non batto ciglio. Arriva un altro signore, e si siede con lui; parlano anche loro di calcio e di tennis.
Arriva poi un terzo signore che li saluta, si aggiunge a loro e inizia ad elencare tutti i suoi acciacchi.
Continuano a parlare del più del meno ed io noto che tutti quanti, i tre di prima e questi altri tre, hanno un accento a me familiare…
Finisco di bere il mio caffè e di completare il lavoro al computer, chiudo tutto, e, mentre sto per andare via, dato che mi guardano, dico loro: “Certo, siete tutti di Bolzano, eh?”.
Mi sorridono e in coro rispondono “Ah, no?, ma lei anche è di Bolzano?”
Ed io: “Sì, Bolzano centro. Anche gli altri signori saranno di Courmayeur…”.
Al che uno mi dice: “Ma lei di quale Bolzano è, siciliana?”
Ed io: “No, sono calabrese.”
Lui: “Mia moglie è calabrese. Di dov’è lei?”
Rispondo: “Di Locri”.
Il primo dei tre ride di cuore ed esclama: “Ah, quindi lei è della Locride, della ‘ndranghitudine!”
“Esattamente!”, è stata la mia risposta.
E poi ha continuato: “E cosa ci fa col computer, perché lo usa?”
Ed io: “Perché ci lavoro”.
Lui: “Ahhh, gestisce il commercio di cocaina!”
Io: “Sì, nel deep web coi bitcoin”
Lui: “Ma quindi che lavoro fa?”
Io: “L’attrice, ho studiato alla scuola di teatro di Gigi Proiettili”!
Ho augurato buona giornata e sono andata via.
Maria Rosa Rechichi – Torino
Carissima ragazza di Locri, chapeau per la verve – paura paura, non ce n’è per nessuno! – anche narrativa – lei ha scritto un gustoso editoriale! – e grazie per lo splendido sorriso con cui mi ha salutato al Salone del Libro di Torino: eravamo già amiche di penna perché lei, un po’ di tempo fa, aveva scritto a questa rubrica una bellissima lettera, e adesso…Adesso questa sua mi fa soffrire.
Perché non sono chiacchiere da bar, come si dice, quelle degli avventori “di Bolzano” in quel caffè torinese: sono lame affilate che anch’io tante volte ho sentito nella mia carne di reggina, non da Lucani o Pugliesi o Campani, come i buontemponi che lei ha incontrato al bar (non ci metta più piede…), ma, pensi un po’, da parte di Calabresi “del nord”, quelli di Cosenza, città che conosco assai bene, perché ci sono immigrata da più di quarant’anni e, dove, seppure a intermittenza, ancora vivo.
Lei non sa quante volte, in quanti ambienti, anche di lavoro, e in quanto salotti, anche, per così dire, “colti”, ho sentito sulla mia pelle diffidenza, pregiudizi, puzza al naso, sospetto… in una parola razzismo!
Lei racconta, chessò, di un imprenditore reggino di successo? eh, chissà quale ‘ndranghetista c’è dietro, si sentirà rispondere; e, se fa cenno ad un bravo politico che ha la ventura di vivere tra Reggio e provincia, ci sarà sempre qualcuno col ditino alzato che dirà: sì, vabbè, i voti chissà quale mafioso glieli ha procurati…
Così, mi tocca fare l’avvocato difensore di una città della quale conosco e denuncio tutti i problemi e tutti i difetti e nella quale, seppur di famiglia reggina, ho vissuto solo dagli otto ai diciotto anni, pensi un po’… e sarebbe tempo sprecato cercare di far capire ai miei illuminati interlocutori che difenderei con lo stesso ardore chi dicesse che i Genovesi sono tutti “pigna”, i Napoletani tutti mariuoli, i Vicentini tutti magnagatti.Il razzismo è paura del “diverso”, generalizzazione nei giudizi, pigrizia mentale, e, soprattutto, ignoranza. E l’ignoranza storica, antropologica e culturale non si combatte con un corso accelerato…
Mi lasci dire però, per quanto riguarda il razzismo interno calabrese, che moltissime cose sono cambiate: le università hanno fatto la rivoluzione culturale in questa regione, non tanto per il numero di laureati che hanno sfornato, molti dei quali non avrebbero potuto permettersi di studiare fuori, ma perché hanno rimescolato i Calabresi, li hanno fatti conoscere tra loro, incontrare, frequentare, magari innamorare.
Hanno cioè costruito una comunità regionale, oltre i campanili e oltre i pregiudizi, oltre l’idea, per dire, che i calabresi migliori sono “quelli di Cosenza”.
Ai quali do una notizia: fuori della Regione non c’è percezione delle differenze e dei distinguo “provinciali”: la Calabria, com’è giusto, viene percepita come un unicum, tranne per la Locride, come lei ha sperimentato sulla sua pelle, che sconta una cattiva reputazione per la terribile stagione dei sequestri di persona, e tranne a confondere, accade anche questo, miei boriosi concittadini, Cosenza con Potenza…
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