0 Flares Filament.io 0 Flares ×

Nel suo editoriale pubblicato sull’edizione odierna, il direttore de La Stampa, Mario Calabresi, espone le ragioni per le quali ha deciso di far pubblicare al suo giornale la foto della Reuters-Nilufer Demir-DHA che ritrae il corpicino esanime di un bambino siriano sulla spiaggia di Bodrum, città turca. Condivido in pieno ciò che dice e che riporto integralmente in calce a questo post. La frase che mi trova maggiormente d’accordo è la seguente: “Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia.” 
Ecco, giorni fa, stimolata dalle opinioni di tanti utenti dei social network che si indignavano davanti alla pubblicazione di foto simili, mi è tornato in mente che oggi, noi, non avremmo memoria di ciò che è accaduto nei campi di concentramento se non avessimo visto le foto tragiche, orribili, che sono arrivate fino a noi; e con quelle foto possiamo raccontare la Storia ai nostri figli, affinchè non si ripeta. Allora ho pubblicato un post sul mio profilo personale di Facebook, questo:
accadeOggi, l’editoriale di Mario Calabresi dice la stessa cosa, in definitiva: non possiamo tacere, non possiamo non mostrare. Non è sciacallaggio, è testimonianza. E la Storia è testimonianza, è documentazione storiografica e anche fotografica.
A cosa serve? A farci aprire gli occhi, farci prendere coscienza e renderci consapevoli, come ho già detto nel post E come…Umani. Ce la facciamo? Ce la possiamo fare!

Di seguito, il testo dell’editoriale di Mario Calabresi, pubblicato su La Stampa.

Si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale? Di un bambino che sembra dormire, come uno dei nostri figli o nipoti? Fino a ieri sera ho sempre pensato di no. Questo giornale ha fatto battaglie perché nella cronaca ci fosse un limite chiaro e invalicabile, dettato dal rispetto degli esseri umani. La mia risposta anche ieri è stata la stessa: «Non la possiamo pubblicare».

 Ma per la prima volta non mi sono sentito sollevato, ho sentito invece che nascondervi questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, che qualunque altra scelta era come prenderci in giro, serviva solo a garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza.

Così ho cambiato idea: il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli.

Li ho incontrati questi bambini siriani, figli di una borghesia che abbandona tutto – case, negozi, terreni – per salvare l’unica cosa che conta. Li ho visti per mano ai loro genitori, che come tutti i papà e le mamme del mondo hanno la preoccupazione di difenderli dalla paura e gli comprano un pupazzo, un cappellino o un pallone prima di salire sul gommone, dopo avergli promesso che non ci saranno più incubi e esplosioni nelle loro notti.

Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. E’ l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza. (Mario Calabresi)

0 Flares Twitter 0 Facebook 0 Google+ 0 Pin It Share 0 Filament.io 0 Flares ×
Share