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Guardate: cosa c’è nel piatto?
Probabili risposte: l’assaggio durante la cottura; quel che resta di un risotto con la zucca; ventisette chicchi di riso, o forse ventotto; magari ventinove.

Niente di tutto questo. Anzi, qualcosa di tutto questo.  Sì, ho cucinato un risotto con la zucca piacentina e, vi rassicuro subito, ne ho mangiato un piatto pieno.

Però, al momento di impiattare ho voluto fare un esperimento: stupire i commensali, presentando i piatti così, come nella foto. Volevo vedere che effetto avrebbe fatto. Volevo provocarli e fare una roba da presa in giro di Master Chef. La stessa cosa che ho provato a fare mettendo la foto su Instagram e chiedendo: cosa c’è nel piatto?
Risposte disparate, ma nessuna risposta si è avvicinata a quello che sto per dirvi.

E’ vero, nel piatto ci sono solo ventinove chicchi di risotto con la zucca. Un po’ poco per un pasto, è vero anche questo. Ma, li avete osservati bene? Avete provato ad allargare l’immagine e a guardare come se aveste in mano un microscopio? No? Provateci.
Solo così sarete in grado di vedere: guardate i chicchi di riso che prima di finire in pentola erano nella scatola posta dentro un pensile della cucina. Ci è arrivata qualche giorno fa, stava su uno scaffale del supermercato, esposta ordinatamente dalle mani di una commessa che l’aveva presa dal magazzino; il camion che aveva scaricato le grandi scatole aveva viaggiato per tante ore per distribuire a tanti supermercati della zona, veniva da Vercelli, zona di produzione del riso locale. Come stavano bene sulle piante, quei ventinove chicchi di riso! Accarezzati dalla rugiada nebbiosa della pianura Padana, con le radici in ammollo nelle acque nutrienti, curati dai contadini fino alle mani delle mondine o ai bracci dei moderni macchinari per la raccolta. Sono arrivati proprio nel mio piatto quei ventinove chicchi di riso.
E la zucca? La zucca, prima della pentola, ha abitato in frigo per qualche giorno; anche lei stava sul mio bancone ortofrutta preferito del mercato, quello di Dino. Sì, Dino Conta, ve lo ricordate, il mio ortofruttivendolo preferito? (Sì, lo so, da tanto non vi parlo di lui, ma posso assicurarvi che sta bene ed è sempre gentile e garbato e vende roba buona). La zucca, Dino l’aveva presa in un orto piacentino di proprietà di un suo amico fornitore e orgoglioso coltivatore di zucche gialle delicate, dalla polpa dolce e pastosa che ben possono esser fritte, infornate, stufate, vellutate e risottate.
Il burro, e il burro? Chissà le mucche che hanno dato il latte, dove vivono: in una piccola fattoria insieme ad asinelli, galline, conigli, cresciute a fieno e abbracci del fattore o in un grande allevamento dove lavorano tanti allevatori?
E la cipolla? Quella viene da Tropea, ha il sole mediterraneo tra gli anelli ed il sudore dei contadini, angeli bianchi ed angeli neri, chini sull’arida terra generosa.

Quanta gente! Quante persone! Quante storie che si intrecciano!

Eppure, nel piatto ci sono solo ventinove chicchi di risotto.

 

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