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calabriaestateSiamo agli sgoccioli, ma possiamo farcela, tanto il caldo non ci abbandona. Ah, non penserete mica che parlare del tempo metta in cattiva luce? Beh, se lo pensate dovete ricredervi. Con buona pace di monsier Flaubert. Il telegiornale ha detto che parlare del tempo non rientra più tra i “luoghi comuni” ma è un argomento di discussione sulla vita quotidiana di ognuno, che dal tempo meteorologico può essere modificata, con effetti anche non proprio benefici. Tant’è, e UBU continua.

Nei giorni scorsi, ancora una volta, dalla terra di Calabria si è verificata una levata di scudi contro il “maloparlante” di turno. Due furono, in verità. Il critico d’arte, Philippe Daverio, tra i pochi uomini eccelsi ad andare ancora in giro in camicia e papillon anche ad agosto, che dai microfoni di Uno Mattina Estate (ma chi lo guarda?) ha detto male di Reggio Calabria. E poi il giornalista Antonello Caporale che dal suo blog e dalle pagine de Il Fatto Quotidiano ha scritto ciò che ha visto della Calabria durante il suo viaggio per la sua nuova rubrica Binario Morto.
Contro i due si sono innalzati paladini difensori della Calabria e della città di Reggio in particolare.
Nulla da eccepire, anzi. Forse, però, qualche analisi più approfondita andrebbe fatta, soprattutto nel punto in cui Caporale ha affermato:  «la regione muore di fame, disossata della sua cultura, della civiltà, dei talenti che fuggono. Non c’è chance alcuna: o stai in fila con la mano tesa oppure rappresenti l’inutile testimonianza della dignità» e gli è stato risposto dalla giornalista Angela Potente, dalle colonne di Scirocco News :  «io non sono mai stata con la mano tesa né sono un talento in fuga (e perdonate se mi autodefinisco talento). Anzi. Resto e resisto. Resto a fare cultura, ad essere cultura, a testimoniare che diversi si può essere. Con dignità e testa alta.»

Da che parte stare, dunque? Chi ha ragione tra i due?
Viene da stare dalla parte di Angela, quando si pensa all’amore smisurato che ci lega a questa terra piena di luoghi incantevoli, di gente accogliente, di storia e cultura pervasive; alla voglia di restare, di attendere.
Viene da stare dalla parte di Antonello, quando si pensa che non si può restare in attesa per sempre; che non è facile entrare nelle cerchie chiuse: della politica, delle professioni, delle aziende, della stessa cultura. Che non si può essere sfruttati nei pochi posti di lavoro non in nero, laddove a fine mese la busta paga riporta una cifra e il lavoratore ne intasca la metà. Che non si può restare in balìa dell’impiegato di turno che non adempie al proprio dovere e rallenta le procedure che in un altro posto filano lisce come l’olio. Che, certo, i talenti fuggono. E non solo questi. Ma chi ha, oggi,  il coraggio di fermarli? Con dignità, vanno.

Mi pare già abbastanza per questo UBU, ma prima di lasciarvi, mi piacerebbe sapere se qualcuno ha voglia di indignarsi per una cosa che ho scoperto poco fa. Stavo navigando nel sito dell’Alitalia, e mi sono imbattuta nella pagina che vedete qui sotto in foto.

alitalia...exclusiveAllora, che mi dite? Io sono rimasta senza parole, ho avvertito sulla pelle il brivido della discriminazione; e ancora di più il brivido del disegno, ormai chiaro, di lasciarci a piedi o, al massimo, su gomma.

Al prossimo UBU (Under Bug Umbrella, Sotto l’Ombrellone), probabilmente l’ultimo.

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